RACCONTO
Gli spiriti dei boschi
di Davide Tamagnini
Nelle radure tra gli abeti, in Val di Fiemme, nelle
notti di luna piena si radunano gli spiriti dei boschi. Essi parlano il
linguaggio delle foglie e del vento, che noi umani raramente riusciamo a
comprendere. Ma animali e folletti, troll di montagna ed elfi parlano questa
lingua e discutono animatamente con le brezze notturne in queste notti
particolari. Nei loro discorsi da un secolo a questa parte si é aggiunto un
nuovo argomento di discussione: le strane macchine con le quali il genere umano
tenta goffamente di imitare il volo degli uccelli.
-Ma che dici?- interviene un vecchio e saggio abete rosso, alto almeno quaranta
metri- E’ dai tempi della guerra che nessun aeroplano atterra o decolla da
quel prato, da quando i tedeschi se ne sono andati con le loro cicogne (i
Fiesler Storch - NDR)!
-Ti dico che l’ho visto!- ribatte la brezza notturna- E non é un aeroplano.
Era là prima che smontassi dal lavoro, e portava un’elica dietro alla
schiena, come uno zaino!
-Questa é proprio buona!- ridacchia una anziana e arruffata poiana, mezzo
appisolata su di un ramo- Di strane e assurde macchine volanti ne ho viste un
bel pò in questi anni, ma questa poi!
-Già, come quella volta del deltaplanista austriaco...- se ne esce un giovane
troll dalla chioma fulva, ma non fa in tempo ad attaccare con il racconto, che
già tutti si lamentano, e sospirano, e sbuffano, e...
-Basta!- taglia corto una femmina di capriolo- L’hai già raccontata, questa
storia! Lascia parlare Brezza, che ci deve spiegare meglio cosa ha visto!
...E così, nella curiosità generale, con i passaparola e i racconti, le
testimonianze e le supposizioni, anche tra gli spiriti dei boschi, sul Lagorai e
sul Latemar, sul Cermis e sul Cocul, si é sparsa la notizia che in valle uno
strano tipo col suo parapendio a motore da qualche giorno compie scorribande nei
cieli del Trentino...
Sono le otto e mezza e il sole é già alto. Ho perso tempo a cercare un decollo
alternativo al solito pratone giù a masi. L’idea é quella di decollare già
con un po’ di quota e con il favore della pendenza, giacché laggiù accanto
al fiume, prima che si instauri brezza di valle, il vento é beffardo e gira in
continuazione, rendendo impegnativo il decollo con l’ala avanzata che mi serve
oggi. Mi serve perché c’é da fare strada: il piano di volo prevede infatti
un’andata e ritorno a bassa quota Cavalese - Campitello di Fassa, lungo le
direttrici Val di Fiemme - Val di Fassa attraverso l’imbuto di Predazzo.
Non mi giova perciò la mia vecchia vela galleggiona scalamontagne, che vola con
poca potenza e gira le termiche, ma quella nuova più veloce. A occhio e croce
saranno una ventina di km, che col ritorno fanno un’ora di volo. Carico
benzina per un’ora e mezza e mi accingo a partire.
E qui sta l’errore. Anzi, uno dei tre errori che condizioneranno la giornata:
la distanza reale, misurata poi sulla carta di cui al momento non disponevo, é
di quasi trenta km...
Ma andiamo avanti, ci accorgeremo man mano di questo e degli altri errori di
valutazione.
Su di una magnifica collina boscosa tra Cavalese e la Val di Stava, si aprono
accoglienti pascoli erbosi accessibili con una ripida stradina sterrata. Vento
zero. Apro la vela e mi vesto ben bene (é agosto ma la mattina fa un freddo
becco, specie in questi giorni di temporali pomeridiani), dopodiché mi imbrago
e aspetto. Aspetto perché, come vuole la migliore tradizione, in procinto di
decollare il vento cambia. In questo caso da nullo che era da almeno venti
minuti, si mette a soffiare abbastanza deciso guardacaso nell’unica direzione
nella quale non posso decollare, perché in salita.
-Strano!- penso io- Si mette da monte a quest’ora, mentre prima era nullo...
Non può durare!
Aspetta che non può durare, aspetta che ora cambia, passano comunque venti
minuti, e si fa tardi. L’importanza di tutto questo tempo che passa, la
capirete poi, in merito al terzo errore della giornata.
Finalmente il segnavento si affloscia di nuovo, é giunto il momento per me di
avviare e decollare. Mi infilo lungo la valle appoggiandomi al versante esposto
al sole, dove si delfina tra qualche bolla e dove non c’é il rischio di
incappare in attardate discendenze notturne. Rilascio i trim e mi godo il
panorama, osservando la mia ombra che sfila veloce sui pini del pendio. Cerco
con lo sguardo di cogliere il salto di qualche camoscio sulle cenge rocciose
sopra di me, ma stamane neanche l’ombra. In vista di Predazzo il torrente
Avisio si apre in tanti piccoli rivoli che accarezzano isolette boscose e
spiagge sassose. Cerco di mantenere un numero di giri adeguato per un volo
livellato, che con questa vela a trim laschi ed a questa quota, sono un bel
po’, ed in breve sono sul paese, che allunga le sue mani calde dai tetti delle
case accarezzandomi con un po’ di turbolenza. Rimango a ridosso del pendio di
sinistra mantenendo il letto del torrente Avisio come atterraggio di emergenza,
ma mi accorgo di essere eccessivamente basso... In effetti, sarò a cinquanta
metri di altezza, invece dei centocinquanta con i quali sono partito, mentre
l’altimetro tarato sul campo di decollo segna uno zero.
Cavolo che scemo... La valle sale! E salirà ancor di più quella successiva.
Devo salire anch’io se non voglio arenarmi sul letto del torrente... Aumento
duecento giri e traziono i trim, ed i tempi ed i consumi previsti vanno a farsi
benedire. E questo é il secondo errore.
Dopo Predazzo mi tuffo in una valle tanto stretta da far paura, non so se si
chiami ancora ³Fassa², ma é piccola, bellissima ed alberata. Sembra un
corridoio che apre la porta alle Dolomiti. Lasciando sulla destra gli
incredibili scivoli del salto con gli sci, da dove quel pazzo di Giorgio Rinaldi
si é buttato di sotto in notturna appeso ad un parapendio (!), mi godo la parte
più bella e rilassante del viaggio: Penia, Sorte, Moena, Soraga, Vigo e Pozza
di Fassa, Ronch, Mazzin, Campestrin, Fontanazzo, Campitello. Ogni svolta
é una scoperta, con incantevoli paesini di sapore austriaco ed acuminate
chiesette di montagna. La gente si ripara gli occhi dal sole con la mano e mi
scruta a bocca aperta. I boschi pian piano cedono spazio ai pascoli, su in alto
svettano sbiechi denti di roccia nuda. Guadagno lentamente quota, fa molto
freddo. In alcuni punti della valle mi accorgo che la mia velocità al suolo é
piuttosto elevata. Si sta alzando brezza di valle. E questo é il terzo errore
della giornata: sono partito troppo tardi e rientrando dovrò lottare con vento
contrario...
Sempre che riesca a rientrare. Evidentemente Campitello era molto più in là di
quanto immaginassi (sempre studiare il volo prima sulla carta, ecchecavolo..).
Laggiù si intravede l’angolosa sagoma del Sassolungo ma é ancora lontana, il
Col Rodella un miraggio, il Sella invisibile. E’ chiaro che non ho abbastanza
carburante per il ritorno. Se fossi saggio invertirei subito la rotta, ma sono
arrivato sin qui e nessuno può più fermarmi. Al massimo atterro e chiedo a
qualche buonanima se mi rimedia un pò di miscela... Ecco infatti due vele
all’orizzonte: saranno i soliti bipostisti che portano i loro clienti giù da
Col Rodella. Loro che sono amici mi daranno una mano! Al massimo mi farò venire
a prendere dalla mogliettina, in fin dei conti é da quando volavo in libero che
non mi recupera (quasi) più!
Immerso nei miei pensieri, arrivo in vista dell’atterraggio. Sorvolo basso la
zona del campeggio, pieno di tedeschi, il parcheggio e il maneggio. I piloti dei
biposti stanno ripiegando le loro vele. Controllo l’altimetro: sono circa
quattrocento metri più alto del decollo, e mi trovo rasoterra in quel di
Campitello (che si trova a 1450 metri di quota). Con qualche contorsionismo
scruto il serbatoio: ho mezz’ora di volo. Ho impiegato tre quarti d’ora ad
arrivare sin qui, e considerando il vento contrario che si sta alzando, mi ci
vorrebbe più di un’ora a tornare indietro.
Niente da fare. Posso però avvicinarmi a casa, visto che qui se ne stanno
andando tutti e non é il caso di disturbare. Via di gas e torno sui miei passi.
Ora il volo é molto diverso: teso, concentrato, con l’intento di ottimizzare
le traiettorie, risparmiando il prezioso carburante. Non c’é più il
paesaggio e la poesia del volo, il freddo alle dita o i saluti ai bambini, ma
solo la strategia. Rilascio i trim per avere la più alta percorrenza
chilometrica controvento, mi rannicchio in posizione aerodinamica rimanendo
basso per nascondermi al soffio della brezza di valle, tante volte compagna di
giochi e avventure nel cielo, ma oggi nemica da combattere.
Le bandiere sventolano, si procede a rilento, e dopo pochi chilometri
faticosamente guadagnati, arriva presto il momento di prendere una decisione sul
mio destino prossimo di volatile. Aspettare che il motore ammutolisca da sé non
é la scelta più logica... Se ci fosse un bel distributore... Con un bel
pratone accanto... Forse più avanti... Ancora cinque minuti... Ancora cinque...
Ancora...
Con mia grande sorpresa, appare come per incanto proprio quello che stavo
sperando. Un magnifico, luccicante, provvidenziale distributore Q8 con accanto
un invitante, morbido prato di montagna! Accade tutto in pochi secondi, sono
basso e vedo la signora alle pompe che guarda all’insù, verso di me, un
incrocio di strade, dei lampioni da evitare e il lungo prato in leggera
pendenza. Il mio cervello lavora veloce, sulla direzione del vento non ci sono
dubbi, il prato é un poco sconnesso ma si riesce a ripartire sicuramente, ok
atterro: tolgo motore, appena il tempo di trazionare i trim, una veloce ‘S’
e sono a terra. Esco dall’imbrago e decido di lasciare tutto lì perché il
distributore é a duecento metri e non ho nessuna voglia di farmeli due volte
con il motore sulla schiena. Ho fretta perché più passa il tempo, e più
aumenta vento e turbolenza. In quei giorni, nel primo pomeriggio degenerava
sempre in temporale.
Camminando finalmente mi scaldo un po’, la gente mi guarda come un
extraterrestre. Parlo con la signora del distributore che si mostra gentile e
disponibile a farmi un po’ di miscela, ma non ha una tanica. Porca miseria,
non dovrò mica andare a prendere il paramotore! Frughiamo nel cestino
dell’immondizia (!) e scoviamo un contenitore d’olio vuoto, da un litro. Ok
può andare, ma toccherà fare due o tre giri... Prendo il primo litro e vado a
vuotarlo nel serbatoio. Quando ritorno, alle pompe si é accumulata una tale
fila di auto da far paura. La provinciale come al solito é intasata di turisti,
che improvvisamente hanno tutti bisogno del pieno. Non posso mettere fretta alla
signora e a suo marito, che già sono stati anche troppo buoni. Vagli a spiegare
che poi si alza il vento.
Mentre aspetto telefono alla mogliettina.
-Ah! Sei atterrato, finalmente. Quando arrivi?
-...Ehm.. Veramente, sono in Val di Fassa...
Silenzio.
-...Devo venirti a prendere?
Spiego tutto alla mia dolce metà, che vuole a tutti i costi passarmi il bimbo.
Le donne hanno una tempestività su queste cose eccezionale, cerco di tagliar
corto senza essere scortese, e spengo il telefono. Cerco timidamente di attirare
l’attenzione della benzinaia. Quando mi mette a fuoco, con la tuta da volo, i
capelli scompigliati dal casco, la lattina in mano e la faccia implorante,
capisce (bontà sua) e chiama un ragazzo in borghese, magari il figlio, che
passava di lì e gli dice di confezionarmi un litro di miscela.
Sono salvo, ho imbarcato due litri che sono il minimo indispensabile per
rientrare ma di andare a prenderne un terzo non ci penso nemmeno. Mi preparo e
decollo, con una piccola folla di curiosi che si é assiepata sui bordi del
campo. Dovrei forse fare un tressessanta per salutare loro e i benzinai, ma non
posso sprecare carburante, che utilizzo invece immediatamente per guadagnare un
po’ di quota infilandomi controvento. Tra ridere e scherzare sarà passata
un’altra mezz’oretta, il che significa che se prima avanzavo poco, ora non
avanzo per nulla e sono sbatacchiato da una discreta turbolenza. Sono in un
buco, un tortuoso avvallamento della valle, sottovento a un crinalino, a
millequattrocento metri e devo dare quasi tutto gas per vincere la turbolenza e
le discendenze, ma faticosamente, piano piano, tra una botta e l’altra,
guadagno metro dopo metro in distanza e in altezza e mi cavo un po’
d’impaccio. Con un centinaio di metri in più i margini di sicurezza sono
buoni ma non é che la situazione cambi molto. Si avanza poco e si balla
parecchio. Controllo i cumuli che biancheggiano sulle creste, ormai abbondanti:
davanti, dietro, in Dolomiti, sul Lagorai e sul Latemar, sembra tutto
tranquillo. Così continuando però é più la fatica che il gusto, penso sia
meglio rinunciare. Ma boia chi molla!
Finalmente ho l’intuizione giusta: mi accosto al pendio di sinistra, più
boscoso e meno riscaldato, e scopro che qui si avanza meglio, e le botte sono più
rade. Mi infilo sotto i piedi la speed-bar, e con circospezione la premo a
tratti mentre lentamente riguadagno l’imbocco della valle, dove le pareti si
restringono.
-Ci siamo- penso- ora farà ancora più venturi e sarò costretto ad atterrare.
Invece il vento contrario non aumenta, la stretta valletta mi é amica e si
procede abbastanza bene. Accompagnato da qualche schiaffone, che peraltro mi
merito, ma confortato dall’incredibile stabilità della vela, penso che oramai
sono a cavallo: dopo altri dieci minuti di sofferenza sorvolo gli scivoli del
salto con gli sci, sono in vista di Predazzo. Uscito nella larga, accogliente,
benevola valle di Fiemme, la brezza contraria ritorna ad essere amica, le botte
sono solo termica e non mi fanno più paura, si avanza agevolmente.
Sono felice, ce l’ho fatta, ho imparato molto da questo volo ed ho una nuova
avventura da raccontare. Su Cavalese vedo il velone rosso del Giorgio che scende
dal Cermis col solito biposto; con le usuali contorsioni scruto il serbatoio e
vedo che mi posso addirittura permettere di andarlo a salutare. Passo rasente
sull’agognato campo di decollo, dove se ne sta solo soletto il mio Fiat Doblò,
punto la stazione della funivia in fondovalle dove il bipo del Giorgio sta
atterrando. Non mi posso permettere di perdere quota, un passaggio e via.
Naturalmente l’ingrato mi recriminerà il fatto di non essere atterrato per
salutarlo, ma tant’é; ora é giunto veramente il momento di posare
definitivamente i piedi a terra, per quel giorno, e così faccio.
Sono ormai le undici passate, mentre ripiego la vela la ringrazio per avermi
cavato d’impaccio ancora una volta. Ringrazio anche il piccolo monocilindrico
che si é lasciato strapazzare volentieri, ma ora basta coi ringraziamenti che
“ci ho ‘na fame”...
-Sei sicuro di aver visto bene? Bianco e blu?- interroga un giovane barbagianni.
-Massì ti dico!- insiste il camoscio- Se chiedi alle pecore giù al pascolo, ti
possono confermare.
E con un frullo d’ali, senza nemmeno salutare, il giovane uccello scompare
silenziosamente nella notte luminosa, felice di avere qualcosa di nuovo da
raccontare in giro.
Davide