RACCONTO
Dove osano le poiane
di Davide Tamagnini
Eccolo lì, bello, maestoso, scintillante al sole radente del
mattino. Si potrebbe definire “il Cervino dell’Emilia”, singola vetta
rocciosa che si staglia fiera nel cielo radioso dell’Appennino reggiano,
sfidando impavida il susseguirsi delle stagioni ed il trascorrere del tempo.
E’ il Monte Ventasso, che nella corsa verso la pianura ha distaccato di un bel
pezzo i più grossi e lenti massicci del monte Cusna (2120) e dell’Alpe di
Succiso (2016), e che incombendo minaccioso a sud/ovest del paese di Castelnovo
ne’ Monti e della Pietra di Bismantova, domina incontrastato le valli del
Secchia e dell’Enza. La croce metallica posta sulla cima fende i forti venti
di libeccio a 1727 metri s.l.m., godendo di un panorama mozzafiato in ogni
direzione. In poche parole, é un gran bel monte! Meta di decine di
escursionisti e gitanti domenicali, non può che accendere nel cuore di ogni
volatore un solo desiderio: quello di farci un giretto sopra!
Il mio rapporto “volatorio” con il Ventasso affonda le sue radici in gioventù,
quando mi arrampicavo sui suoi ripidissimi pendii con uno zaino in spalla
contenente uno o più modellini radioguidati di aliante. Mi rammento di una gita
adolescenziale con i miei genitori in cui vedemmo un deltamotore sorvolare a
bassa quota il parcheggio e la zona del ristorante, ed io, più che mai
invidioso e come sempre rapito dalle evoluzioni di quei semplici mezzi, ricordo
benissimo che pensai: “anche io, un giorno..”.
Diversi anni dopo, e con molta aria in più passata sotto le ali, rieccomi sul
Ventasso, questa volta in veste di pilota e in occasione di una sagra paesana ad
Acquabona, sul versante sud. Quel giorno ci accompagnarono fin quasi in decollo
con i fuoristrada, e raggiunsi la ragguardevole quota di 2500 metri in un +8,
sotto ad un cumulaccio al quale non fu facile sfuggire, ma il mio rapporto
“volatorio” con quel bellissimo monte, tuttavia, non poteva esaurirsi qui.
Mi mancava l’esperienza di un sorvolo in condizioni aerologiche tranquille,
con calma e serenità, potendo godere appieno dell’esperienza. Proprio come
vidi fare, quella mattina di fine anni Œ80, a quel deltamotore. Mi mancava cioé,
un piccolo motore.
Ora che quel piccolo motore lo posseggo, ed infilato nel baule della macchina
rappresenta la realizzazione di tutti i miei sogni, ho voluto dedicare un volo
la scorsa estate alla scalata del Ventasso.
Domenica 10 agosto. Il caldo e la siccità opprimente di questa
memorabile, lunghissima estate, sta per dare segni di cedimento in una serie di
giornate di timida instabilità, ma quella domenica regna ancora sovrana
l’alta pressione. Un capriolo esplora guardingo il limitare del bosco, forse
ignaro della mia presenza accanto ai ripetitori. Sono da poco passate le sette
di mattina, la foschia stempera le colline in lontananza, il profilo piatto
della Pietra taglia l’orizzonte con la sua sommità alla mia stessa altezza,
il che vuol dire che mi trovo a circa 1050 metri di quota. Sono sullo Sparavalle,
dove ho trovato la sera prima alcuni prati non distanti dai contrafforti del
Ventasso che si prestano per essere utilizzati come decollo con il paramotore. A
dire il vero non sono il massimo, ma si può decollare con qualche accortezza
praticamente in ogni direzione, il che la mattina presto, in un posto
sconosciuto, quando si devono ancora instaurare le brezze di valle ed i venti
dominanti della giornata, é piuttosto importante.
Mi godo il fresco mattutino e comincio a preparare e controllare con calma
l’attrezzatura, mentre aspetto Montanari che non tarderà ad arrivare. Quando
il suo furgone sgangherato arranca per la mulattiera, il capriolo in un paio di
balzi scompare nel bosco. Sistemiamo un paio di segnavento in posti strategici e
stendiamo le nostre amate vele. Il primo a decollare é Marco: il gonfiaggio é
perfetto ed una volta che la vela arriva sulla testa con una smotorata
Marco schizza verso il cielo. Lo invidio un pò pensando al mio piccolo motore
che deficita di ben 100 cc. rispetto al suo, ma dalla mia c’é una massa
complessiva nettamente inferiore (circa 100 kg. P.T.V. contro 130). Metto in
moto e durante il riscaldamento noto subito che la spinta é un pò asfittica,
già diversa da quella di cui si dispone anche solo 500 metri più in basso.
Decisamente l’elica che monto é troppo caricata (troppo passo) per i voli in
montagna, dovrò provarne altre, ma ora devo accontentarmi e decollare perché
il Ventasso mi aspetta. Una volta ripassata la check-list mi avvento sulle
bretelle anteriori. L’ala sale un poco storta; insisto, comincio a dare gas,
correggo, non sento la vela come vorrei ma vedo che all’incirca é sulla
verticale. Esitare ora significherebbe abortire il decollo, perciò bando alle
esitazioni e via col gas. Dopo un paio di passi il prato diviene ripido, e ciò
che non fa il motore, fa la pendenza. Sono in volo senza problemi, mi aggiusto
nell’imbrago e comincio a fare quota accodandomi a Marco che mi precede di
duecento metri. L’aria é frizzante e il panorama con i boschi di abeti
e querciole é incantevole. Si sta bene, quassù, la mattina presto.
La prima meta é il lago Calamone, incastonato sul versante nord del monte. Ora
é il momento di definire la strategia del volo, per quel che mi riguarda,
stabilire i giri ed il rateo di salita. Decido per una linea prudente, almeno
per il momento, ed imposto 7300 giri per 0,3 m/s (e pensare che in pianura a
quei giri salgo già a 1 m/s!). Visto che dovrò salire di 700 metri abbondanti,
impiegherò circa 40 minuti a questo rateo. Montanari mi distacca subito in
arrampicata, puntando dritto a scollinare una cresta che ci separa dal monte, ma
poi si accorge che sono rimasto più in basso ed accetta di costeggiare il
pendio seguendo il profilo dei boschi sul versante nord. Questa parte della
valle é parecchio boscosa e gli unici atterraggi di emergenza sono molto più
in basso, apparentemente senza strade per un eventuale recupero. “Ad ogni
giorno basta la sua pena”, disse qualcuno, che in questo caso significa: ci
penserò se sarò costretto ad atterrarci. Provo a sfruttare qualche incerta
bolla mattiniera per accorciare le distanze dal mio compagno di volo ma il
tentativo é patetico. Mi rassegno ad una salita lenta e faticosa mentre Marco
mi distanzia sempre più. I crinali alberati si susseguono velocemente ed ad
ogni cresta che supero mi aspetto di vedere il parcheggio delle auto dove inizia
la stradina che conduce al lago, ma la distanza da coprire é più del previsto,
o forse é solo l’impazienza.
Ecco: quella é la strada che sale da Ramiseto con i suoi tornanti, laggiù ci
sono degli edifici... Il parcheggio dev’essere lassù, dietro a quella
collinetta! Un poco di gas in più, che qui non si sale un accidenti! Dev’essere
l’influenza della brezza di monte, su questi pendii in ombra.
Infatti, qui c’é discendenza: le bandiere del ristorante si agitano verso
valle! Un giro sul parcheggio però non me lo toglie nessuno. Magari qualche
ragazzino mi starà osservando a bocca aperta, sognando di volare... Gli auguro
di cuore di coronare al più presto il suo sogno, magari senza aspettare tre
lustri come ho fatto io, e poi allargo decisamente verso l’esterno per
sfuggire alla discendenza. Mantengo gli 8000 giri ancora un pò, il motore
canta, e in poco tempo faccio quota costeggiando a distanza la stradina ghiaiosa
che tante volte ho risalito in passato, a piedi, con ben più fatica. Non appena
arrivo a scollinare gli abeti del catino naturale che Madre Natura ha voluto
ricavare sul fianco della montagna, il sole che si riflette sulla superficie
scintillante del laghetto penetra gli occhiali da sole e si riversa direttamente
nel cuore, contribuendo a riscaldarlo. Ho sempre sognato di ammirare il lago da
questa prospettiva, ed é ancora più bello di quanto immaginassi! Lo specchio
d’acqua, i pascoli erbosi, i pini e i pescatori sulla riva che dimenticano le
lenze e si fanno scudo con la mano per riparare gli occhi dal sole, e con
l’altra salutano; la piccola baita, la fontanella zampillante in mezzo al
lago, i sentieri che oramai conosco a memoria, tutto contribuisce a creare un
quadretto meraviglioso, un angolo di mondo dove tutto é perfetto e dove sarebbe
a suo agio anche un hobbit della Contea o un elfo silvestre.
Un altro passaggio per scattare qualche foto (che tanto, come al solito, non
rendono), e poi premo sulla manetta per affrontare l’ultimo tratto di salita,
il più impegnativo, mentre Marco é di ritorno dai prati sovrastanti il lago
anche se non si é voluto togliere lo sfizio di sorvolare la cima. Decido di
continuare la scalata sul versante est, certamente il più suggestivo, con le
sue rocce ed i suoi ghiaioni, ma anche quello dove il sole scalda già ed é
facile trovare qualche bolla termica. Per lo meno non ci sarà il rischio di
incappare nella discendenza. Risalendo i boschi che mi separano dal dente che fa
da spartiacque tra i pendii a nord e la parete sud, incappo in una famigliola
che ha passato la notte in montagna, in una tenda, in una piccola radura tra gli
alberi. Ci sono due bambini, la mamma scompare nella tenda e se ne esce
brandendo una telecamera. La situazione richiede qualche numero, perciò mi giro
verso valle ed imposto un paio di scivolate d’ala. Nel susseguirsi vorticoso
di abeti, cielo e bandelle di vela che entrano nel mio campo visivo durante i
wingover la mia mente mette a fuoco per un istante l’acqua del lago ad una
distanza poco rassicurante ed inferiore al previsto... L’aria rarefatta ha
aumentato l’ampiezza e la velocità delle pendolate, perciò abbandono subito
la manovra uscendo sul lago ad una velocità impressionante. La cosa mi
sorprende e mi diverte (non sono abituato a volare a queste quote con il peso
del motore), ma non é il caso di fare ulteriori esperimenti se non voglio
ritrovarmi in valle in men che non si dica, perciò la faccio finita con le
stupidaggini e sollecito il motore per riguadagnare il tempo perso.
Procedendo verso est lascio sulla destra un canalone ghiaioso. Il pensiero va
alle quattro persone che persero la vita fra quelle pietre, con l’elicottero
dell’elisoccorso, la mattina del 18 agosto 1990. Più oltre il bosco é
tagliato di netto da una spaccatura, il panorama si apre improvvisamente sulla
valle del Secchia, le pareti rocciose degradano velocemente verso inospitali
crinali alberati. Mi apettavo di trovare un pò di turbolenza sul dente, ma i
movimenti dell’aria sono abbastanza dolci anche qui. Costeggio la parete e
faccio la mia apparizione sulla chiesetta di S.M. Maddalena, dove diversi
escursionisti che stavano smantellando le loro tende mi salutano. Gira e rigira,
non trovo nulla che si possa definire una termica, perciò mantengo 7800 giri di
strumento perché l’impazienza di ritrovarmi faccia a faccia con la croce
della cima é tanta. Marco sta bighellonando sulla cresta più a nord, non
capisco perché non mi segue, ma ora nulla può più fermarmi, a costo di
sbiellare ‘sto maledetto motore che non spinge un accidente! ...Scherzavo, non
ti offendere, continua così che sei bravo!
Insomma, a forza di smanettare, riesco nel giro di mezz’ora dal decollo, a
sorvolare la cima del Ventasso. Controllo l’altimetro: 1750 m. Non sono mai
stato così in alto, in paramotore! Il panorama é megagalattico, senza una nube
e con l’aria cristallina del mattino sembra di essere in cima al mondo, e di
poter arrivare ovunque. A nord/est la Pietra di Bismantova sembra un sassolino,
a sud/est il gigante addormentato (il Cusna) troneggia severo nascondendo la
Garfagnana. Proprio lui sarà l’oggetto della mia futura scalata
“impegnativa”, chissà quando. Succiso mi fa l’occhiolino da sud/ovest, a
ovest il Monte Caio, teatro dei miei primi voli nel 1991, mi tiene il broncio
perché é da un pezzo che lo trascuro. Indugio attorno alla cima, l’unica
zona turbolenta é guardacaso ad est, dove si incanala una piccola termica
cattivella, non sfruttabile. In compenso si può girarci attorno, il vento é
assolutamente nullo, non esistono sottoventi. La tentazione di fare top sui
pratoni ad ovest é forte, ma il rischio di farsi male e rimanere soli lassù é
troppo alto. Montanari é scomparso e non c’é nessuno nei dintorni. Perciò
decido che é arrivato il momento per il mio piccolo monocilindrico di godersi
un meritato riposo, e lo spengo. Saluto il Ventasso e punto dritto verso
l’atterraggio.
Pizzico i freni e mi godo la planata. Ho un pò freddo, indosso un pile ma si é
dimostrato scarsino, chissà Marco che é partito in maniche corte! Ma lui ha il
fisico... Piano piano mi abbasso sulla collina accompagnato dal sibilo dei
cordini. Tutto ritorna ad una dimensione più dolce e meno “montana”, la
temperatura aumenta, e le prime bollicine termiche della giornata salgono dai
prati sottostanti. Che spettacolo!
In vista dell’atterraggio riaccendo il motore. Il fiocco blu e arancio della
vela del mio compagno di avventure mi conferma che é già atterrato. Marco mi
indica a grandi gesti la direzione del vento ed il corridoio di atterraggio, che
si rivela una formalità. Osservo l’orologio: circa tre quarti d’ora e 700
metri di guadagno di quota per uno dei voli più belli della mia vita!
Subito invio messaggi col telefonino per fare invidia agli altri amici
paramotoristi, e poi mi dirigo verso la mia casetta di montagna, nei pressi di
Castelnovo, dove mi aspetta la famigliola che si é appena alzata da letto, e
dove la cima del Ventasso sembra un luogo accessibile solo alle poiane. Quando
mia moglie mi chiede: “dove sei stato, stamattina?”, mi sembra incredibile
poterle rispondere: “sul Ventasso”...